domenica 25 gennaio 2015

I particolari inutili

Ho letto un libro carino dove si mettono in evidenza tantissimi errori dei principianti come me e tra i vari anche quello dell’inserimento di particolari assolutamente inutili.

Il libro è “Come non scrivere un romanzo” di Howard Mittelmark e Sandra Newman, Corbaccio.

L’altra settimana facevo ordine tra le cartelle archiviate nel mio computer e mi sono imbattuta in file abbandonati a se stessi da anni, alcuni dei quali contenevano il mio primo tentativo letterario. Ho riletto alcune pagine del romanzo (ovviamente rifiutato da varie case editrici) e dopo tre righe ero già stanca. A essere sincera non so nemmeno come sia stato possibile che qualche editor abbia letto DAVVERO tutto quell’ammasso di carta (ne ho quasi la certezza perché ho ricevuto commenti molto precisi su quanto avevo scritto).
Frasi infarcite di aggettivi, voli pindarici, descrizioni astratte e particolari del tutto inutili piazzati lì il più delle volte per allungare il testo e arrivare a riempire una pagina intera. Insomma tutto quello che non si deve fare.

A tal proposito Mittelmark e Newman portano un esempio molto chiaro.

“Irina entrò nella camera per assicurarsi che le sue adorate sorelle trovassero, al loro arrivo, il fuoco acceso. Prima di chinarsi a ravvivare le braci, si tolse di bocca il grumo di gomma rosa, intriso di saliva, che masticava da quando, uscita dalla sua casa di campagna, era salita in carrozza per raggiungere Petersburg. Poi Irina appiccicò sul camino spoglio il largo, umido bolo gommoso. [...]”
da H. Mittelmark, S. Newman “Come non scrivere un romanzo” Corbaccio

Gli autori ci spiegano che il particolare della gomma NON ha poi alcun ruolo importante nel prosieguo della storia. E’ solo un dettaglio appiccicato lì, tanto per fare “colore”. Bene, questo è un ERRORE perché il lettore ipotizza sempre che dietro le scelte dell’autore ci siano delle valide ragioni. Il fatto quindi che Irina appiccichi il chewing gum al camino DEVE avere un motivo; il lettore continuerà a domandarsi PERCHE’ è stato introdotto quel tal particolare… e quando si renderà conto che in realtà è un dettaglio inutile, si sentirà tradito. Quando si scrive bisogna fare MOLTA attenzione a introdurre SOLO i particolari utili, che hanno una funzione (in un giallo è possibile introdurre molti particolari “fuorvianti”, ma non per questo inutili).
E allora perché nel 1800 si scrivevano romanzi con descrizioni particoleggiatissime e alcuni di questi romanzi sono tuttora considerati dei capolavori?
Bè, sono appunto romanzi di autori del XIX secolo, nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata e anche il gusto dei lettori è mutato.
Leggiucchiando in giro ho scoperto che i romanzi dell’ottocento avevano anche uno scopo in un certo senso “educativo”, erano cioè l’occasione per descrivere luoghi o usanze che non tutti conoscevano. Erano rivolti a un pubblico colto con parecchio tempo a disposizione (spesso erano donne borghesi) ma che magari non disponeva dello tsunami di informazioni disponibili ai nostri giorni. A quei tempi non c’era la tv, non c’era il cinema, niente computer, niente telefono, internet era al di là dell’immaginazione e, insomma, ci siamo capiti. Spesso queste stesse persone avevano sì la possibilità di viaggiare, ma non tanto facilmente quanto lo è per noi oggi (automobili, treni veloci, voli low-cost, prezzi last-minute, ecc.). E i romanzi erano un ottimo mezzo per viaggiare e imparare stando seduti. Oggi, lo sappiamo tutti, è molto più facile spostarsi da un capo all’altro del pianeta, visitare luoghi che i nostri bis- o trisnonni (ammesso che avessero i mezzi economici per farlo) non si sarebbero mai sognati di vedere con i loro occhi. Quindi nell’ottocento leggere un romanzo in cui venivano descritti per filo e per segno gli usi e i costumi della tal popolazione oppure il tal animale esotico, era qualcosa di entusiasmante.
Oggi un autore non ha più bisogno di descrivere nei particolari cos’è un ippopotamo, perché tutti abbiamo visto un ippopotamo in qualche documentario in tv. Un romanzo che si perde a descrivere nei minimi particolari di che colore è la pelle dell’ippopotamo, che cosa mangia e quanto tempo ci mette per andare da un capo all’altro di una pozza d’acqua (e il tutto non ha alcuno scopo se non semplicemente quello di descrivere l’animale), ha un po’ il gusto della maestrina dalla penna rossa che vuole mostrare alla plebe “quanta ne sa”.

Penso che se oggi un qualsiasi nessuno scrivesse un romanzo a quel modo, allora avrebbe qualche difficoltà a farsi pubblicare: o incrocia un editor intelligente che riesce a intuire quanto di geniale c’è dietro al suo lavoro (e magari gli chiede di riscrivere il romanzo con uno stile un po’ più moderno) oppure deve essere veramente (ma veramente!) bravo a scrivere a quel modo per riuscire a coinvolgere anche un lettore più “smaliziato” come quello di oggi. E visto che di geni in giro non ce ne sono a bizzeffe, forse è meglio, molto umilmente imparare le basi del mestiere e almeno all’inizio sapere che non è bene esagerare con i particolari se questi non sono strettamente indispensabili per lo svolgimento della storia. Quanti e quali scegliere sta alla sensibilità dell'autore.

Vanilla

Bibliografia e approfondimenti
Howard Mittelmark e Sandra Newman “Come non scrivere un romanzo”  Corbaccio

Nessun commento:

Posta un commento